Questa mostra è un carosello di “personaggi” dalle biografie evanescenti, abbozzate. E’ palese che non hanno scelto di vivere, ma trasferirsi nel mondo fatiscente delle allegorie, dei moniti, dei talismani …
Figure costruite dal di fuori – in terza persona – in rapporto con un soggetto neutro, esterno : l’immaginario che oggettiva e media l’istanza dell’identità, di una appartenenza.
Si può dire che l’identità si consegue solo assumendo una “alterità” di fondazione.
Quindi, nel dispositivo dell’identità vi è implicata più alterità che medesimezza : l’immagine allo specchio, l’assenso dell’altro, il linguaggio attraverso cui il reale viene ritagliato, sovraesposto, significato… Rimosso …
Quando nell’individuo, fortuitamente, emerge (e ciò sempre attraverso un processo doloroso), la discrepanza, la non coincidenza ai canoni identitari, comincia a sfaldare ogni consistenza delle “cose” del mondo, prese nella rete dei rapporti di senso che li istituiscono.
Emerge il carattere finzionale delle formazioni identitarie … Le apparenze non sono più idealizzazioni, falsificazioni della realtà, ma ciò che rende possibile la realtà stessa.
Ed è dunque andando a penetrare, sfigurare, esasperare tali apparenze che si rimunisce e sostanzia il nostro iniziale sentimento di dissenso e scostamento dall’artificio del “se stesso”.
Federica adopera selvaggiamente la citazione, recuperando, mescolando, sovrapponendo le figure dei vari scenari fantasmatici e mitici di cui si è nutrita nel tempo, dal cinema alle correnti musicali, artistiche, letterarie …
Il fantasma che la pervade è sempre lo stesso, declinato attraverso molteplici registri: l’immagine della donna. Immagine che per la donna è un tutt’uno con la sua “sostanza”.
Come il singolo può dire la sua differenza dalle determinazioni universali del linguaggio? Come render conto di quello che si è al di là dell’ organizzazione immaginaria ? Non al di là, ma piuttosto all’interno dello stesso immaginario
Federica è in continua relazione con queste immagini, esse le appaiono in sogno e tenta poi di catturare con la macchina … farle esistere nella sovra o sur-realtà della pellicola …
Non a caso l’uso della pellicola e non del digitale : fotografare con la pellicola trattiene ancora quel qualcosa di “carismatico” che riguarda il nostro rapporto con l’inatteso, la rivelazione … E’ una sorta di liturgia che allestisce l’ epifania dell’apparizione, e assicura un rapporto ancora “cariologico” con l’attimo in cui l’immagine nasce per noi : grazie alla limitazione degli scatti disponibili e all’ imprevedibilità del risultato non immediatamente accessibile …
C’è dunque una sorta di desiderio di valorizzare, non tanto l’immagine, ma tutta la prassi preparatoria con cui si va a produrla. Valorizzare non tanto il soggetto ma il suo “processo”. E’ la preparazione dell’esca, della trappola per catturare il sogno che vi si farà precipitare, cosificandolo: una “cosa” di poco conto.
E’ anche una tattica per dare importanza alla propria ricerca confrontandosi con l’alea del caso (che forse è l’ultima vestigia del divino che ci è rimasta).
E l’immagine stessa forse porta con sé il riverbero di questa esperienza più soggettiva, conferendo una sorta di nascita e di finalità (senza fine) all’immagine …
In un’epoca in cui tutti gli immaginari sono assimilati, scaduti, vale a dire neutralizzati nel loro carattere eversivo e scioccante, Federica continua a ribadirli con una sorta di invasamento, adottando questa ridondanza (circolarità chiusa in cui le immagini proliferano indefinitivamente), con una ebbrezza cieca, afasica … Reiterazione maniacale del senso, dei significanti : caccia inerme alla propria singolarità.
Immagini che restano seduttive non solo perché devono ammaliare, ma anche perché è attraverso la seduzione che si sospende e smaterializza il mondo del significato.
Non si tratta dell’arte quale dispositivo di “verità”, ma mezzo attraverso cui “ritrattare” il reale di un desiderio, di un ribollimento. Una eccedenza dei codici che allude all’ irriducibilità dell’esistenza singolare, senza però poterla dire: la differenza da se-stesso……UN ICH